Studioart
VALENTINO MONTANARI

CASTELLO SVEVO DI BARI
sala SVEVA

"ENERGIE"

dall'11 giugno al 2 settembre 2007

PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA

Il castello Svevo di Bari, storico punto di riferimento per le iniziative culturali della città, è naturalmente destinato ad ospitare manifestazioni ed esposizioni emblematiche dell’arte e della storia del nostro ricchissimo passato e anche delle realizzazioni di artisti contemporanei che con esso amano confrontarsi.

Nell’ambito di una sempre crescente attività di valorizzazione e promozione dei beni culturali, la Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia ha ora l’occasione di ospitare un artista dalla produzione ricca e varia come Valentino Montanari.

I mosaici e le sculture dell’artista ravennate, con le loro pietre, le tessere musive, gli elementi modulari di terracotta elaborati in stimolanti giochi cromatici, hanno la possibilità di fondersi e confrontarsi con un ambiente austero e ricco di suggestioni storiche come il Castello Svevo di Bari, proponendone chiavi di lettura che non mancheranno di destare l’interesse del visitatore. Il titolo ”Energie” ben rappresenta questi percorsi di luce simili a forme in movimento che si sprigionano con energia – quasi una forza della natura – dal profondo della terra primigenia.

Una nuova mostra, dunque, nell’ambito di un calendario che accanto ad eventi di carattere internazionale, a manifestazioni musicali e convegni si propone di offrire alla cittadinanza barese ed ai numerosi turisti, ulteriori occasioni di conoscenza del mondo dell’arte e delle sue tecniche, passaggio obbligato nel percorso di crescita culturale dell’intero territorio.

Annamaria Lorusso Bolettieri
Direttore del Castello
Svevo di Bari

CHI E’ VALENTINO MONTANARI?

L’ho conosciuto nel lontano 1995, quando l’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Ravenna decise di partecipare alla creazione delle Classi europee del Patrimonio per la “lettura iconografica” dei mosaici ravennati. La squadra era formata principalmente dal Professore francese Alain Riffaud (città di Le Mans), l’Ispettore didattico Wladimiro Bendazzi (Ravenna), il mosaicista Valentino Montanari e da altri collaboratori. Il mio ruolo era tradurre in francese o in italiano le nozioni impartite da tutti gli esperti interpellati.

Così parecchie classi di scuole medie o superiori arrivarono da diverse regioni della Francia per trascorrere una settimana speciale nella città dei mosaici: al mattino i ragazzi visitavano i principali monumenti ammirando le opere musive degli artisti del V e VI secolo. Al pomeriggio gli alunni diventavano a loro volta artisti e, con l’aiuto del Maestro Valentino Montanari, creavano un piccolo mosaico scegliendo un motivo tratto dalle basiliche già visitate.

Ricordo molto bene questa nostra collaborazione: osservavo il Maestro mentre seguiva i ragazzi fin dal mattino con la sua Videocamera. Era attento a cogliere ogni particolare che rivelasse le emozioni dei giovani per poi distribuire loro alla fine del soggiorno il video-ricordo, preparato da lui con cura e maestria. Durante i laboratori di mosaico egli dimostrava grande pazienza mentre ascoltava le numerose domande, era vigile a correggere la mano del giovane “artista” o a togliere dalla malta una tessera di pasta di vetro mal inserita, ... in breve, con lui, i ragazzi riuscivano a realizzare veri piccoli capolavori! Sembrava un maestro di bottega in mezzo ai suoi apprendisti!

......

Al primo sguardo Valentino appare una persona timida, riservata, introversa, silenziosa che desidera passare inosservata. Io pensavo fosse soprattutto un bravo mosaicista. Un giorno egli ha invitato alcuni amici a casa sua, fuori dalla città, nascosta fra i vigneti del Trebbiano di Romagna.

Così come fu la “trasfigurazione del Cristo” per Pietro, Giovanni e Giacomo, quella visita fu per noi una rivelazione! La casa l’aveva praticamente progettata e costruita tutta lui dai pavimenti al tetto con materiali specifici e sistemati con gusto e accortezza. Nel cortile erano sparse molte delle sue creazioni in mosaico. Entriamo in casa: quadri piccoli e grandi su tutte le pareti: li aveva dipinti tutti lui! Poi ci invita a seguirlo al piano superiore, nella sua mansarda-museo dove padroneggiava un pianoforte a coda, alcuni organi (in particolare un favoloso Hammond B3) e tastiere elettroniche. Ed ecco che egli si mette a suonare la sua propria musica e tanti altri brani. Rimanemmo tutti a bocca aperta! Il nostro amico Valentino non era solo un bravo mosaicista, ma un vero Pico della Mirandola, esperto in tutti i campi dell’arte e della cultura.

Forse qualcuno del Comune di Ravenna l’aveva intuito: infatti, visto il successo delle Classi del Patrimonio, gli chiesero di creare nuovi laboratori e così egli si cimentò nella tecnica dell’affresco e in quella di coniare monete. Ancora oggi egli impartisce lezioni di formazione ai docenti in queste materie rivelando un’eccezionale sensibilità nei confronti di tutti gli aspetti della cultura...

Ravenna, gennaio 2007

Paula de Angelis-Noah
Direttrice Alliance
Française di Ravenna

CONTINUARE A FARE MOSAICO HA ANCORA SENSO?

Spesso mi chiedo: continuare a fare MOSAICO ha ancora senso? Che senso ha servirsi di questo linguaggio, di questa tecnica, antica, lenta, piena di aspetti riflessivi, utilizzata per esprimere i sentimenti e, se vogliamo, anche i caratteri del nostro tempo, o ancor meglio le qualità o deficienze morali del nostro tempo. Un tempo in cui la maggior parte della nostra vita quotidiana ruota attorno alle tecnologie informatiche e meccaniche; alla ricerca esasperata di un funzionalismo, e di un efficientismo troppo stressante e poco produttivo, spesso imposto e guidato dall’alto da politiche becere, che annullano quei principi partecipativi, fastidiosi per il potere, ma che fanno vivere l’anima degli uomini.
Dove sta l’anima dell’uomo?
Quale senso ha utilizzare una tecnica antica quanto le origini della nostra cultura? Che cosa significa utilizzare il mosaico come linguaggio espressivo e di ricerca? Che cos’è il mosaico ? E’ o no è una forma di pittura con le pietre?

Facile è porre domande, più difficile fornire risposte.

Enigmi che da tempo molti artisti, filosofi e studiosi di arte si portano appresso. A mio modesto parere, il mosaico non deve essere considerato una forma d’arte di secondo ordine (anche se nei secoli scorsi è stato tale, il mosaico a servizio della pittura, un’arte applicata); per le sue dinamiche e fatture di essenza espressive e tecniche, porta in sé tutti i più alti valori e le caratteristiche delle cosiddette arti nobili. Il mosaicista deve essere pensatore, progettista e realizzatore della propria opera, perché solo in questo modo il manufatto diventa una forte espressione dell’anima dell’artista. Il mosaico è un assemblaggio di materiali vari, omogenei o eterogenei, con colore e materia diversa, che solo l’abilità dell’artista trasforma durante la fase creativa, assegnando un significato estetico e concettuale alla forma, al colore e soprattutto al gioco degli andamenti che si mutano in ritmi e texture, sprigionando attraverso la materia forza ed energia, elementi fondamentali al fine di rendere preziosa l’opera musiva. Nel mosaico la luce e il colore vengono prodotti dalle piccole e grandi tessere, dal misto dei colori e dalle texture inventate, ottenute dalle pietre spezzate, dai contorni infranti e segmenti rettilinei che hanno uno spessore e una materia.

Noi sappiamo che per esprimersi sono necessari segni gestuali ripetuti.
La posa in atto sul legante delle tessere è un gesto ripetuto e quindi diventa comunicazione di una nozione, suggerimento di un pensiero; possiamo trovare un’analogia sorprendente nella nascita di un simbolo attraverso la formazione di una abitudine, perché l’arte nella sua tendenza espressiva contiene sempre un aspetto simbolico, la metafora, quale sopravvivenza di una attività antica, del passato, vale a dire un’attività stabilizzata. “Il simbolo è anche la stabilizzazione del gesto rituale”. A tutto questo il linguaggio musivo ha contribuito molto e i monumenti bizantini ravennati sono una delle testimonianze più significative esistenti al mondo.

Di seguito voglio riportare alcune mie considerazioni già espresse in occasione di un convegno sulle finalità e l’applicazione del mosaico.

Non desti sorpresa se affermo che la realizzazione del manufatto può scontrarsi con alcune concezioni ed ipotesi di pensiero dell’arte contemporanea, che negano nell’opera d’arte l’oggetto in sé, le sensazioni, il vedere, etc., per riconoscere l’essenza solo nell’idea. Il mosaico in sé fatica a collocarsi fra questi concetti, se si vuol fare davvero del mosaico, in quanto è una forma espressiva che si basa sulla materia lavorata, sull’oggetto, sul sedimento, perché mosaico è parte dell’architettura, è parete, è cupola, è pavimento, è arredo urbano, è design, può essere “quadro” e può diventare perfino linguaggio, se trascende dalla rappresentazione con funzione puramente decorativa. Ma dalla sua parte ha il progetto, l’idea, e questi aspetti lo valorizzano collocandolo nella sfera sensibile del pensiero.
Non riesco ad immaginare il “mosaico” come qualcosa che non si calpesta, che non si tocca, perchè si deve guardare da vicino per la sua fattura, per la sua texture e da lontano come un insieme di valori estetici, colori e forme.
A volte è sufficiente spostare anche di poco il senso dei valori, per farli riemergere, e farne scomparire altri che credevamo assodati. La storia è piena di questi esempi. Quindi nonostante l’avvento di nuove tecnologie e nuove forme culturali, il mosaico può trovare una sua collocazione strutturale e concettuale, e le sue ragioni devono essere ricercate nell’intrinseca profonda natura dell’uomo. Nell’anima dell’uomo. Se sappiamo ricercare queste ragioni, credo che il mosaico come “linguaggio” si trovi di fronte a frontiere aperte, e non solo, ma anche a grandi prospettive, purché la figura dell’artista mosaicista sia progettista ed esecutore al tempo stesso.
Solo in questo modo egli può infondere nell’opera stessa tutti gli aspetti intrinseci necessari a fare vivere “l’attimo fuggente” dell’opera nella sua completa espressione e comunicazione, perché solo l’artista mosaicista è deputato ad esprimersi col mosaico, in quanto egli solo sa trovare quel rapporto giusto tra materia, colore, forma e texture, per l’acquisita sensibilità ed esperienza, escludendo il rischio di mode transitorie. In caso contrario il mosaico rischia di diventare una suppellettile utile sì, ma non completa nel suo “essere” ed estremamente limitata nell’espressione, come del resto possiamo riscontrare in certi periodi storici: una forma d’arte di second’ordine, alle dipendenze della pittura.

“L’artista facendo mosaico arricchisce, analizza, moltiplica ciò che è semplice e sintetico nella pittura e nell’affresco”. Condivido l’opinione di chi sostiene che è necessario rinnovare il gusto estetico di questa tecnica, senza però incorrere in pericolose involuzioni e nemmeno perseguire un modernismo esasperato.

Ravenna, maggio 2007

Valentino Montanari